Risposta agli attacchi - Ora il Terzo settore affronti la sfida di raccontarsi a fondo
Come si difende il Terzo settore dalla crescente ostilità manifestata da soggetti politici che in nome della disintermediazione vedono di cattivo occhio qualunque cosa si muova tra il Potere e il cittadino isolato? di Luca Pesenti, direttore di OPSan e docente di Sociologia all'Università Cattolica di MilanoCaro direttore,
«sottolineo il ruolo decisivo del Terzo settore e la necessità di tutelarlo: si tratta di una realtà capace di penetrare in maniere più efficace e puntuale nel tessuto sociale più rassicurante per i cittadini». È stato molto netto il presidente Mattarella intervenendo nei giorni scorsi al centenario di Confcooperative. Una difesa appassionata del ruolo dei corpi intermedi, che giunge in una fase storica delicata. Da Tangentopoli in poi, è andata in caduta libera la fiducia riconosciuta dagli italiani nei confronti dei partiti, del Governo e del Parlamento, ma anche dei sindacati e di molte altre istituzioni capaci di rappresentare e dare risposta ai bisogni delle persone. Fino alle recenti polemiche sulle Ong impegnate nel salvataggio in mare dei migranti. Una delegittimazione politica e mediatica che ha lasciato il segno: secondo l’Edelman Trust Barometer di quest’anno, si fida delle Ong solo il 44% degli italiani, un punto in più del Governo, uno in meno della Ue. Tra tutti i Paesi indagati, l’Italia è nelle ultimissime posizioni in termini di gradimento di queste organizzazioni. La conseguenza più tangibile è il calo delle donazioni verso le Ong, ma è vero anche che le onlus segnano un +9,5% e gli enti ecclesiali e religiosi non perdono terreno (Italy Giving Report 2019).
Segnali contraddittori. Ma il problema resta: come si difende il Terzo settore dalla crescente ostilità manifestata da soggetti politici che in nome della disintermediazione vedono di cattivo occhio qualunque cosa si muova tra il Potere e il cittadino isolato?
Probabilmente la prima necessità è quella di de-ideologizzare un tema che non può essere ridotto a una battaglia di trincea tra buoni e cattivi. Sembra invece più produttivo far emergere sempre più il contributo positivo che queste realtà danno alla società italiana, sottoponendolo con trasparenza a processi di pubblica valutazione. In una logica di accountability, il racconto delle esperienze necessita di essere accompagnato da una chiara evidenziazione degli effetti multipli e concomitanti raggiunti su larga scala e su temi chiave per lo sviluppo sostenibile del nostro Paese. Si pensi, ad esempio, alla capacità che la parte più attrezzata e innovativa del Terzo settore ha di creare reti, di produrre valore condiviso. Esperienze di contrasto della povertà sanitaria, come quelle realizzate da soggetti quali Fondazione Banco Farmaceutico, Fondazione Rava, Sant’Egidio, Caritas, Centri Astalli, Opera San Francesco e molti altri ancora, rappresentano un valore aggiunto multidimensionale: da un lato integrano gli spazi scoperti dal Sistema sanitario nazionale, dall’altro costruiscono ponti tra realtà profit, non profit e bisogno sociale, rendendo possibile (in una logica di economia circolare) il recupero di quasi 13 milioni di euro di farmaci (dato Banco Farmaceutico), che da eccedenza di produzione sono stati riconvertiti in dono.
Sono esempi di un contributo originale offerto alla sostenibilità complessiva del nostro sistema sociale. Anche nell’epoca del Reddito di cittadinanza non si potrà fare a meno di queste realtà: perché non basterà un pur indispensabile incremento di reddito per aiutare davvero i poveri a uscire dalla loro condizione di bisogno. Ma i tempi sono quelli che sono, e la logica della disintermediazione costringe il mondo del Terzo settore ad aumentare la capacità di raccontarsi. Dentro questo racconto, diventa indispensabile mostrare l’impatto del proprio lavoro, che – come nei casi descritti – va molto al di là dell’aiuto ai poveri e investe anche dimensioni di sostenibilità economica ed ecologica. Per questo occorre aiutare il non profit ad acquisire competenze avanzate anche in un campo tradizionalmente poco presidiato: quello della cultura del dato e della valutazione. Per difendersi da una cultura ostile, la forza dei numeri deve affiancarsi a quella dei valori e delle idee.
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