Il Sistema sanitario solidale che aiuta i poveri senza cure
Siamo di fronte a una sfida che richiede nuovi sforzi per trasformare le parole in fatti concreti anche dal punto di vista delle politiche pubbliche.di Luca Pesenti* e Giancarlo Rovati**Domenica 19 novembre si celebrerà la prima Giornata Mondiale dei Poveri. Uno dei numerosi gesti, al tempo stesso concreti, profetici e simbolici, voluti da papa Francesco per richiamare i cristiani (e non solo loro) alla necessaria accoglienza delle troppe forme di bisogno che emergono in questi tempi così contraddittori. In Italia sono 4,7 milioni le persone che, secondo le statistiche ufficiali, versano in una condizione di povertà assoluta. Numeri allarmanti, cresciuti a dismisura durante la crisi. Tanto che abbiamo ormai imparato a fare i conti anche con nuove forme di povertà, molto diverse da quelle tradizionali. Una di queste è la povertà sanitaria, ovvero la difficoltà a potersi permettere cure adeguate a causa di difficoltà di tipo economico. In termini generali, il problema della rinuncia alle cure riguarda un numero molto elevato di persone (13 milioni, secondo l’Istat). Ma per parlare davvero di povertà occorre guardare a quelle 580mila persone che sono state costrette quest’anno a rivolgersi a opere caritative per potersi curare.
Soprattutto su questo tipo di povertà si concentra il nuovo Rapporto annuale dell’Osservatorio Donazione Farmaci (organo di ricerca della Fondazione Banco Farmaceutico), che viene presentato a Roma giovedì 16 novembre presso la sede dell’Agenzia Italiana del Farmaco. «La povertà sanitaria – ha dichiarato a tal proposito Mario Melazzini, Direttore Generale di Aifa – non è solo una ferita inferta al tessuto sociale, ma è causa di uno stress che ha conseguenze epidemiologiche e cliniche che possono durare a lungo nel tempo. Aifa è impegnata in prima linea per tutelare la salute dei cittadini italiani limitando l’impatto di questo fenomeno sulla capacità di accedere alle terapie». E da questo Rapporto possiamo partire per descrivere non soltanto i confini e la fotografia della povertà sanitaria, ma anche per capire come sta rispondendo la società italiana a questa nuova emergenza, resa ancora più drammatica dalle ondate migratorie degli ultimi anni. «Non amiamo a parole, ma con i fatti»: così si intitola il messaggio che il Santo Padre ha voluto proporre al mondo intero nel presentare la prima Giornata Mondiale dei Poveri. Ecco: di fronte alla povertà sanitaria, e all’incapacità del nostro Sistema Sanitario Nazionale di essere fino in fondo universalista e inclusivo, la risposta «con i fatti» è garantita nel nostro Paese dai 1.722 enti caritativi sostenuti nella loro attività dal Banco Farmaceutico.
Un esercito della carità che sta continuando a crescere (+3,5% rispetto ai 1.663 dello scorso anno, e addirittura +14,3% rispetto a cinque anni fa), riuscendo a garantire la risposta ad almeno una parte del bisogno di farmaci, cresciuta quasi del 30% nell’ultimo quinquennio. Nel 2017 sono state oltre 1 milione le confezioni di farmaci richieste per soddisfare il bisogno di salute dei poveri: la Giornata Nazionale di Raccolta del Farmaco, svoltasi lo scorso febbraio, ha permesso di coprire il 36% di questo bisogno, un altro 40% è arrivato attraverso le donazioni aziendali e il recupero dei farmaci validi in farmacia. Numeri importanti, ma ancora insufficienti per coprire un bisogno ampio e complesso, se si pensa che gli assistiti di questa rete della carità sono solo il 12% di tutti i poveri in senso assoluto.
Le opere caritative, con la loro generosità, non possono sopportare da sole questo crescente peso. Siamo di fronte a una sfida che richiede nuovi sforzi per trasformare, come chiede il Papa, le parole in fatti concreti anche dal punto di vista delle politiche pubbliche. Lo scorso anno il mondo della carità aveva salutato con soddisfazione e legittime aspettative la novità legislativa contenuta nella legge 166 del 19 agosto 2016 ('Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi'), più nota come 'Legge Gadda'. Una norma importante perché prevede agevolazioni proprio per le donazioni di farmaci alle Onlus che le destineranno alla distribuzione attraverso enti caritativi. Pur essendo passato oltre un anno dall’emanazione della legge, mancano a tutt’oggi i decreti attuativi – di competenza del Ministero della Salute – che dovranno stabilire nel dettaglio i comportamenti da adottare rispetto alla detenzione e conservazione dei prodotti.
Nel frattempo l’attenzione politica sul tema della povertà non è però venuto meno, portando anzi al varo del Reddito di inclusione (Rei), misura nazionale, di carattere strutturale (ovvero permanente) per il contrasto della povertà assoluta, da molto tempo richiesta dall’Alleanza contro la povertà. Dal primo gennaio del prossimo anno si potrà dunque puntare su questa nuova misura, e potrà essere verificata l’effettiva efficacia di un intervento che presenta non pochi profili di complessità. Ma anche dentro questo nuovo quadro legislativo, resta in ogni caso evidente l’importanza dell’attività assistenziale svolta dalle strutture caritative impegnate sul versante sanitario. Senza queste strutture, che risultano non semplicemente parallele al Sistema Sanitario Nazionale, ma ad esso in qualche modo necessarie e forse indispensabili, migliaia di persone resterebbero prive di farmaci e di cure adeguate, con evidente danno non solo per la loro salute, ma anche per la società nel suo complesso. Per centinaia di migliaia di persone svantaggiate la principale possibilità di ricevere assistenza medica primaria è rappresentata dagli ambulatori degli Enti assistenziali e caritativi diffusamente presenti sul territorio, che hanno dimostrato di sapersi integrare efficacemente con l’intervento pubblico nei casi in cui non sia in grado di fornire una risposta adeguata.
Nel loro insieme queste organizzazioni costituiscono una sorta di 'Servizio Sanitario Solidale', che merita di essere considerato e supportato in modo sistemico dalle istituzioni pubbliche, anche in quanto soggetti depositari di informazioni accurate e attendibili sul bisogno di salute della fascia più vulnerabile della popolazione: un repertorio, unico nel suo genere, da cui trarre indispensabili indicazioni di policy sul versante terapeutico, assistenziale e preventivo. L’esperienza accumulata dai protagonisti di questo 'Sistema Sanitario Solidale' dovrebbe, in particolare, essere attentamente considerata nell’ambito delle misure legate al Rei, laddove si prevede (in modo molto realistico) la promozione di accordi di collaborazione anche con soggetti privati e organizzazioni non profit. Come evidenziano ormai due decenni di ricerche scientifiche, grazie al loro elemento di scambio principale (ovvero la logica del dono) questi soggetti sono infatti capaci di moltiplicare le risorse disponibili, non soltanto attraverso l’utilizzo della generosità di milioni di volontari, ma anche attraverso quello specifico ethos solidale e responsabile in termini sociali che ne caratterizza l’operato. Solo una grande alleanza tra pubblico e privato potrà garantire quel salto di qualità che il Rei intende rappresentare per il nostro Paese.
*Direttore di OPSan e docente di Sociologia all'Università Cattolica di Milano
**Coordinatore scientifico di OPSan, Professore di Sociologia all'Università Cattolica di Milano
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